Cos’è la Psicoterapia? Come Professionista mi sono sentita spesso rivolgere questa domanda, la Psicologia prima e la Psicoterapia poi, hanno una caratteristica che può essere talvolta un limite: l’inafferrabilità. Tutto ciò che rientra nel settore delle emozioni, le emozioni stesse, […]
Cos’è la Psicoterapia?
Come Professionista mi sono sentita spesso rivolgere questa domanda, la Psicologia prima e la Psicoterapia poi, hanno una caratteristica che può essere talvolta un limite: l’inafferrabilità.
Tutto ciò che rientra nel settore delle emozioni, le emozioni stesse, non hanno materia, e tutto ciò che non è materia è più difficile da spiegare.
Si può certamente spiegare cosa sia la Psicoterapia, ma essa sarà pienamente compresa solo da chi intraprende il percorso (a cui il terapeuta stesso ha la responsabilità morale di sottoporsi), riuscendo a toccare con mano il proprio universo emotivo, e scoprendo che non è poi così inafferrabile, ad esempio spesso il corpo è il veicolo attraverso cui la mente e le emozioni ci parlano, inviandoci segnali tangibili che purtroppo non sempre ascoltiamo o comprendiamo.
Si arriva ad un punto del percorso terapeutico in cui il paziente può spiegare, tanto quanto un terapeuta, cosa sia la Psicoterapia, ovviamente nella soggettività della motivazione che lo ha condotto lì, e nella soggettività del proprio vivere l’esperienza, riuscendo ad abbandonare i tecnicismi di cui noi professionisti, per abitudine, parleremmo.
Mi sono detta che forse i pazienti in virtù della loro distanza dalla tecnica, possono meglio rispondere alla domanda “cos’è la Psicoterapia?” , hanno la capacità di descrivere l’esperienza cogliendone l’essenza più pura.
Ho così deciso di chiedere nello stesso momento a tre dei miei pazienti di mettere su carta la risposta alla domanda sopracitata, e di farlo nella libertà di scelta circa la lunghezza, da una semplice frase ad uno scritto più lungo.
La scelta non è stata casuale, un paziente aveva terminato il percorso terapeutico in quei giorni, quindi la sua memoria emotiva legata ad essa era ancora nitida, la seconda era giunta alla fase di “seduta solo al bisogno”, il terzo aveva compiuto un importantissimo “giro di boa”, ovvero aveva superato una fase di difficoltà che lo caratterizzava da sempre e che lo aveva condotto in passato a troncare prematuramente altri percorsi.
In forma anonima abbiamo così deciso di donarvi le loro testimonianze, e chissà, in futuro si potrebbe ripetere questa esperienza:
“Ho iniziato il mio percorso psicoterapeutico due anni fa. Ciò che mi ha spinto a fare questo passo è stato l’essere ormai stanco di come mi relazionavo alla vita, in tutte le sue forme. Tutto era difficile e spaventoso, perché qualsiasi cosa, evento e persona poteva comportare potenti e fastidiose perturbazioni del mio stato d’animo. Fino ad ora. Ho concluso da poco il mio percorso e mi ritrovo semplicemente innamorato delle stesse cose da cui fuggivo e mi riparavo. Per questo credo che la psicoterapia sia semplicemente vivere una storia d’amore in modo maturo con se stessi: ci si frequenta, ci si conosce e alla fine ci si innamora.”
“Una delle decisioni più azzeccate della mia vita: iniziare un percorso psicoterapeutico, in un primo momento mirato a difficoltà sul lavoro, penso infatti di parlare solo di quello, anche perché sono sempre molto restia nel parlare della mia vita privata, un’abitudine che ho modificato abbastanza in fretta già dai primi incontri.
La mia corazza di marmo gelido e le mie convinzioni limitanti cadevano a pezzi. Parlavo, mi aprivo e piangevo come non avevo mai fatto prima, finalmente senza vergogna.
La psicoterapia è diventata il faro delle mie tempeste interiori, e me ne sono affidata, perché tutto ciò che sentivo di avere era una zattera di fortuna in mezzo a un mare nero.
Nell’assoluta desolazione e appannamento, e grazie al dialogo che si basa su una fiduciosa alleanza, ho cominciato a pormi degli interrogativi profondi che mi han permesso di scavare dentro me e scoprire da cosa provenisse il senso di insoddisfazione che mi accompagnava nel quotidiano.
Avevo sempre paura, paura di sbagliare, paura di fare brutta figura, paura di non essere all’altezza di una situazione magari nuova, paura di deludere gli altri, paura di dire ciò che pensavo, paura del mio giudizio e di quello esterno, paura di fare ciò che mi piaceva finendo puntualmente per fare ciò che piaceva agli altri e non a me. E nonostante questo, non ero esentata dai sensi di colpa.
Scoperto tutto questo ho deciso di fare una delle tante cose che mi ha sempre fatto paura, cercare un nuovo lavoro, uscire dalla mia zona di comfort. Guarda caso, è stato il lavoro a trovare me e sono tanto felice.
Ho risvegliato il senso della curiosità, del piacere, della pienezza, della gratificazione, della soddisfazione, della responsabilità e dell’umorismo. Mi sento più capace, fiduciosa e sicura di me.
Posso affermare di aver voltato una nuova pagina e se vado a ritroso nel mio percorso posso vedere, con gli occhi di oggi, una condizione parecchio limitante che mi rendeva prigioniera delle mie paure, di cui ero totalmente inconsapevole.
Le parole curative hanno mosso dentro me, nel giro di poco tempo, una grande voglia di cambiamento.
Con esattezza, una sana voglia di rivoluzione e di crescita che mi sta conducendo verso ciò che mi appassiona, mi incuriosisce e che piace a me, prima di tutto a me”
“Quante volte, figliolo? – Molte volte, padre.
I colloqui psicologici avuti negli anni, inutile contarli; non tanto per il numero quanto per le modalità disorganiche e a singhiozzo con cui sono avvenuti. Quanti psicologi? Quelli posso ricordarli, cinque, quattro donne e un uomo. Più una; l’ultima, con cui è stata ed è un’esperienza diversa per continuità; volendo, potrei anche snocciolare il numero di sedute e darne l’esatta tempistica. Perché sono uno preciso, quando voglio.
Faccio un passo indietro. Perché mi sono rivolto alla psicologia? Forse perché parlare dei propri problemi con uno sconosciuto è più facile. Non elimini la titubanza, il pudore e la vergogna con cui provi ad esprimere il tuo mondo di dentro, ma entro certi limiti puoi tentare di fregartene.
Quando apri qualche libro e ti approcci allo studio della mente ti si apre davanti un mondo intrigante, ricco di sfumature ed opportunità di cambiamento. Perché è quello che cerchi, all’inizio, la possibilità di essere un altro te, diverso e più accettabile. Alcuni provano anche a venderti la formula magica: fai come ti dico, e non potrai fallire. La fascinazione delle parole può essere potente, ma quando hai a che fare con te stesso ti accorgi ben presto che è tutta un’altra storia. Quante volte ci avranno detto: sii onesto con te stesso! Sembra un facile invito, nel segreto delle nostre stanze interiori possiamo spifferare qualunque misfatto, “onestamente”. In realtà, mi sono accorto che quando parlo con me stesso “credo soltanto” di essere onesto. Più o meno (in)consapevolmente, applico tanti filtri alla mia autoanalisi. Il mio vissuto, i ricordi, belli e brutti, i preconcetti, le persone incontrate, i luoghi e ogni genere di esperienza sensoriale, mentale ed emotiva, si frappongono fra le mie intenzioni e i frutti di questa introspezione.
Durante la terapia, hai di fronte un’altra persona (il terapeuta), che legge le tue parole e le tue espressioni con un codice che non è il tuo. Parlandoti, il terapeuta ti aiuta a sbirciare fra le pieghe del tuo abito. Per me, nella psicoterapia il naturale confronto umano è guidato dalla conoscenza, scienza ed esperienza, del terapeuta. In questo modo io, paziente, posso arrivare a guardare in faccia un altro me, quello che spesso non osservo perché lo do per scontato o semplicemente perché non lo conosco, o non voglio riconoscerlo.
Attraverso la psicoterapia, sono come un attore che sta imparando a recitare la sceneggiatura della sua vita; il che implica sia accettare una parte, quando necessario, sia ricrearla, quando voluto e sentito. Accettare una parte non vuol dire subirla; piuttosto, confrontarsi con le sfaccettature della propria personalità.
” Io sono questo, ma anche qualcos’altro “.
Così che, pian pianino, si arriva alla parola che è la sorgente, la Signora del cambiamento: “accettazione”.
La mia terapeuta mi ha abituato a frequentarla, questa Signora. Non ha un carattere facile, a volte si dà delle arie. Fa la smorfiosa, pretende di giocare con la mia fragilità, le mie debolezze, la mia paura e le mie frustrazioni. Ride di me quando provo a comportarmi da perfetto damerino. Dice che la bellezza è più profonda della pelle.
Eppure, questa accettazione ha un tocco salvifico, e insieme un po’ audace. Goethe ha scritto che l’audacia ha in sé genio, potere e magia. Allora, azzardo un pizzico di audacia, capisco che se mi accetto riesco ad avere fiducia, ad agire e a lavorare per il cambiamento. E attraverso l’azione scarico parte della zavorra emozionale, tutto diventa più semplice e leggero. La terapia mi sta insegnando ad essere un “esploratore di possibilità”.
Se un giorno imparerò a ballare con la vita, credo che la terapia avrà raggiunto il suo scopo. E mi auguro che la terapeuta mi conceda un ballo!”
Ringrazio la pazienza dei miei pazienti, ed il loro contributo.
Selene Anna Paolo